Scritto da Giovanni Ingrascì
Dopo oltre quarant’anni continuo a chiedermi perché nell’aprile del 1976 la nave Caravaggio mi sbarcava Lipari con moglie e due bimbe per fare il giudice in un territorio a me sconosciuto cambiando vita e abitudini. Non ho una risposta, se non quella del desiderio di conoscere, sperimentare e sfidare me stesso, come uomo e come magistrato, in un territorio di antica civiltà ancora non compromesso da uno sviluppo economico disordinato. A metà degli anni ‘70 Lipari viveva come una piccola cittadina non ancora raggiunta da quel benessere economico che, in altri luoghi del nostro paese, altrettanto ricchi di storia e tradizioni, stava tra mille contraddizioni mutando abitudini e stili di vita. Le auto erano pochissime, dalle quattro del pomeriggio alla mattina dopo il collegamento con la Sicilia era interrotto, il turismo cominciava a svilupparsi, le risorse principali erano ancora quelle tradizionali: l’agricoltura, le cave di pomice e un terziario legato agli approvvigionamenti, alla navigazione e ai servizi portuali, nonché ad una edilizia troppo spontanea e… disinvolta.
Ho avvertito subito l’esigenza forte dei Liparoti di avere risposte ad antiche domande di giustizia mai soddisfatte. Lipari viveva un’ingiustizia antica sedimentata, accettata, perché conseguenza naturale di una vita sociale con compiti e ruoli ben definiti. Il contadino, il pescatore, il bottegaio, l’albergatore, il vigile urbano, il professore, il sindaco erano perfettamente consapevoli dei limiti e delle possibilità relative al loro compito nella società e al potere che ne derivava, non tanto dalle capacità e dalla cultura ma esclusivamente dal loro status non discutibile. Mancava soprattutto la consapevolezza di possedere un patrimonio culturale e ambientale unico al mondo, nonostante la presenza di un importante museo archeologico e dell’opera di ricercatori come Bernabò Brea e la professoressa Cavalier.
Prendo servizio il 6 maggio 1976 e il mio impegno primario è molto semplice e nello stesso tempo terribilmente difficile da realizzare: far comprendere agli eoliani che vivono in un territorio straordinario e che dall’ultimo al primo cittadino hanno il medesimo diritto a ottenere una rapida risposta a una richiesta di giustizia. Mi riprometto tuttavia di non “dettar legge”, ma di convincere i cittadini più sensibili che il loro prezioso patrimonio artistico e culturale doveva essere riconosciuto e difeso di fronte al mondo. Avverto subito il mal governo dei rifiuti urbani e un forte abusivismo edilizio, situazioni che dovevano essere affrontate con il necessario rigore, accompagnato tuttavia dal convincimento che la difesa del patrimonio culturale e ambientale delle isole rappresentava il loro futuro. Nasce così un rapporto prezioso, una vera e propria sinergia tra il mio impegno quotidiano di magistrato e un’iniziativa di un gruppo di giovani che, come in una specie di cenacolo, si riuniva nella lontana frazione di Quattropani guidati dal giovane Nino Paino, mio collaboratore in Pretura. La motivazione di quei ragazzi era forte e la collaborazione con il mio ufficio diventava sempre più importante nell’ambito della protezione del territorio, diffondendo per la prima volta tra i cittadini l’attenzione all’ambiente, tanto da inaugurare insieme a loro una sorta di movimento ecologico. Quei giovani avevano una finalità ben precisa, ma complessa: conoscere e studiare la cultura e la storia della loro terra, comunicarle ai propri concittadini partendo proprio da una contrada antica e isolata, fino allora considerata lontana dalla cosiddetta civiltà del centro storico di Lipari.
L’impegno cresce a tal punto da arrivare alla nascita del Centro Studi e Ricerche di storia e problemi eoliani con la ragione sociale di promuovere ogni evento possibile a protezione del patrimonio culturale e ambientale delle isole Eolie. Indispensabile a quel punto abbandonare la lontana contrada di Quattropani e… conquistare il cuore del centro storico di Lipari in una sede adeguata alla realizzazione di un progetto così ambizioso. Condividendo in toto l’impegno e l’entusiasmo dei giovani, essendo il mio ufficio in prima linea dal punto di vista giudiziario nella difesa del patrimonio ambientale delle isole, ho convinto con una certa fermezza e forse un po’ abusando del mio potere (se fu reato è prescritto.. ) l’allora Sindaco a concedere un piccolo locale quasi in stato di abbandono che in poche settimane viene ristrutturato e diventa l’attuale sede del Centro Studio. La mia partecipazione alle loro attività negli anni di permanenza presso la Pretura è ricca di ricordi felici particolarmente legati al cinema e a personaggi straordinari come Ettore Scola, Michelangelo Antonioni, i fratelli Taviani, Walter Chiari, Nanni Moretti e molti altri da me frequentati anche personalmente, tutti innamorati delle Eolie grazie all’accoglienza del Centro Studi e tutti affascinati dall’atmosfera magica dell’isola.Ettore Scola non sapeva nuotare, si buttava in acqua dalla mia barca con una ciambella legata ad una cima e sguazzava per un’ora fino a che non lo tiravamo letteralmente a bordo.
Antonioni durante la proiezione del suo famoso film “ l’ Avventura”, vecchia pellicola recuperata da noi in una cineteca di Roma, non ha sopportato il gracchiare del sonoro e le immagini sgranate, si è alzato dal gradino in prima fila del teatro a ha sbattuto avvilito i pugni sulla lamiera di una baracca dietro le quinte. Il giorno dopo faceva il bagno con noi nel mare davanti all’hotel Carasco e la sera cenava in terrazza a casa mia. Walter Chiari, eterno ritardatario, atteso per oltre un’ora per una serata al castello si faceva perdonare con monologhi irresistibili. Il giorno dopo si andava a cena con lui a Vulcano e continuava instancabile a farci morire dalle risate. I fratelli Taviani per tutta l’estate hanno girato a Lipari il film “Kaos” dopo aver reclutato come interpreti alcuni bambini di Lipari tra cui mia figlia Ombretta. Ma aldilà dei felici ricordi personali legati alla collaborazione nei primi anni del mio impegno a Lipari, in totale sinergia con il Centro Studi, desidero, in occasione del quarantennale, esprimere il mio profondo apprezzamento per tutti i soci vecchi e nuovi che hanno dimostrato che la vera cultura, basata sullo studio e la ricerca, non ha alcuna remora né timore reverenziale nell’affrontare impegni, eventi, e personaggi illustri a qualsiasi livello nazionale e internazionale.
Concludo riconoscendo anche la grande sensibilità dei ragazzi del Centro Studi, come continuo a chiamarli, che hanno fin dall’inizio della loro esperienza condiviso e fatti propri i valori assoluti e inalienabili dell’uomo, testimoniando con le loro iniziative le vicende di uomini e donne al confino politico e le sofferenze di uomini e donne schiavizzati nelle cave di pomice.
Giovanni Ingrascí
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