Scritto da Alberto Siracusano
40 anni del Centro Studi e Ricerche di Storia e Problemi Eoliani – 16 luglio 2021
“L’isola è fine di ogni viaggio, meta della più grande via per cui è sempre corsa ogni avventura, ha navigato la civiltà dell’uomo; isola è anelito e approdo, remissione d’ogni incertezza e ansia, superamento della natura, inizio della conoscenza, progetto della storia, disegno della convivenza. Ma isola è anche sosta breve, attesa, pausa in cui rinasce la fantasia dell’ignoto, il desiderio del viaggio, il bisogno di varcare il limite, sondare nuovi spazi.”
Così scrive in maniera mirabile Vincenzo Consolo (2006) in uno degli innumerevoli e splendidi libri pubblicati dalle edizioni del Centro Studi di Lipari. L’isola è una metafora della vita ma anche una metafora dell’animo e della mente (A.Siracusano, Il mare come metafora dell’animo e della mente, Conferenza presso il Centro Studi, 18 agosto 1997). L’isola è scoglio nell’immenso mare; al mare, “ad ogni ora primiero”, riserviamo le parole con cui descriviamo il nostro stato d’animo: calmo, tranquillo, agitato, scuro, freddo, caldo. Il mare thalassa, è sale, hals, è distesa pelagos, viaggio e vastità, pontos, profondità, laitma, fonte di ispirazione per poeti e suicidi. Nel mare ci tuffiamo, ci lanciamo dalla terra, per pochi attimi rimaniamo sospesi, attraversiamo il vuoto. Il bambino ripete eccitato il gesto, prova il piacere di superare la paura della separazione e di cadere in un altro mondo; gode della spinta ascensionale che lo riporta a respirare.
Per conoscere bisogna andare oltre il limite e confrontarsi con il paradosso :“l’uomo è l’essere confinario che non ha confini” (R.Bodei, Limite, il Mulino, 2016)
Il cielo,
la terra finisce e lì comincia il cielo,
il cielo, si perde il pensiero quando guardo il cielo,
ritorna il ricordo dolce che ho di te.
Lucio Dalla canta in modo struggente questa bellissima canzone, che mescola assieme emozioni diverse e intense: due soprattutto, il ricordo di ciò che si ama, e la scoperta del limite entro il quale collocare la nostra esistenza-appartenenza. Il confine di quel luogo a cui siamo tanto legati da affidargli il senso della nostra identità, nel nostro caso l’isola-terra. Oltre, al di là del lmite, del finis terrae dell’isola, comincia lo spazio infinito del cielo, del mare, dell’essere infinito, di uno stato di mediumnità in cui ritroviamo gli affetti della nostra vita. Rabindranath Tagore immagina così l’addio tra madre e figlio, suggerendoci il senso del distacco e del passaggio oltre il confine: “Allora io vado mamma, vado! … Mamma mia, vado … Mamma vado, fuori dal tuo petto: non potrai prendermi tra le braccia/Diventerò onda nell’acqua:/ nessuno mi riconoscerà/ e al tempo del bagno /giocherò con te”.
Personalmente sento che nel momento in cui ci immergiamo per i nostri bagni in mare, specialmente se li facciamo nei luoghi speciali della nostra infanzia, o mentre passeggiamo in punti particolari dell’isola, incontriamo e percepiamo la presenza dei nostri affetti, dei nostri cari, dei momenti dolci che abbiamo vissuti in diverse fasi della vita. L’essere isolani è essere capaci di vivere, avere in noi, un sentimento profondo di appartenenza all’isola, scoprire in noi stessi una particolarità senso-percettiva che costituisce un marchio indelebile nel nostro mondo interno e conseguentemente del modo di entrare in relazione con quello esterno. E’ un tratto di personalità che possiamo chiamare isolanità.
Il discorso sull’isolanità è un discorso complesso e affascinante in cui si intersecano diversi piani concettuali riguardanti, l’isola e il suo significato, il singolo abitante e la comunità, i luoghi e l’essere gruppo. L’isolanità è una riflessione sull’essere, sugli stati evolutivi della mente, sul modo di sentire il mondo, su i nostri legami profondi, sull’amore, sull’appartenenza, sulla memoria, sul sogno, sulla dipendenza, sull’attaccamento, sulla separazione, sulla paura, sugli spiriti, sulla follia, sulla mancanza, sulla assenza, sulla attesa, sulla nascita, sulla morte. (A.Siracusano, Appunti sulla Isolanità: Essere Isolani, il sentimento dell’isola, Conferenza presso il Centro Studi, 12 agosto 2 su Fra004; Memoria dell’isola, Oblio del mare, Conversazione su Francesco Siracusano, Centro Studi 18 agosto 2009).
“Quando spunta la luna, il mare copre la terra/ Il cuore diventa isola nell’infinito”. Nell’isolanità il nostro cuore è un isola, è il luogo dove percepiamo dimensioni alternative dello spazio e del tempo; l’isolanità è una condizione altra rispetto ai nostri normali di livelli di coscienza, è spesso uno stato mentale altro con maggiori collegamenti con l‘inconscio, con il mondo interno, con la vita onirica, piuttosto che con quella della logica della coscienza nello stato di veglia. Il rapporto con l’isolanità è fonte di mistero e incertezza, sentimenti opposti, umori cangianti. Il luogo delle isole è vagante, l’isola è natante, si muove c’è e non c’è. L’isola è sogno, i sogni sono una isola. I sogni sono innumerevoli, quante sono le onde del mare,.
L’isolanità, accresce la tendenza a sognare, anche a costo di far apparire, nello sconfinato mare interno, incubi, night-mare, sogni vividi, pezzi di vita. Credo che i sogni abitino in un luogo nascosto nella profondità dell’animo, una terra appartata e marginale, collegata alla nostra mente tramite un ponte di conoscenza oniroide. I sogni non giungono casualmente nella mente degli uomini, liberi di volare dove vogliono, ma devono filtrare attraverso uno spazio capace di trasformarli in elementi di conoscenza. L’ottava isola è uno di questi spazi.
L’isola appare un luogo incerto, sfumato in cui non è chiaro ciò che si può incontrare. Chi siano i suoi abitanti, i suoi monumenti, le sue strade. Luogo di sicurezza e di incertezza. L’immagine metaforica dell’isola come luogo fuori dal tempo, senza regole, insieme di realtà e sogno. Luogo di libertà, di iniziazione e di confine. Sull’isola ognuno di noi può nascere o rinascere, acquisendo così nell’essere della isolanità una indelebile traccia genetica: un costante contrasto emotivo tra ansia e tranquillità, tra razionalità e irrazionalità, tra eros e thanatos.
La descrizione della percezione geografica delle isole diventa così una narrazione dell’umore e dell’animo isolano:
“una rappresentazione, quella dell’eolie, che varia con il variare nel giorno della luce, nei mesi, nelle stagioni, con il variare dei cieli, dei soli, e delle lune. E ora sono remote, le isole, lievi, diafane, ora ferme o vaganti, vaganti nel mare, ora sospese in cielo o invisibili, nascoste dietro cortine di nuvole o vapori, ora avanzanti, prossime alla costa siciliana, spoglie nitide, di straordinaria evidenza.” (V.Consolo, op.cit.).
Fenomeno curioso è quello delle isole fantastiche, isole che non ci sono e che potrebbero rappresentare l’emergere del pensiero dal caos dell’emozione e dell’inconscio. Concetto affascinante e di strano significato, per parlare di un luogo dobbiamo parlare della sua non esistenza. L’isola prima di tutto non è; è un’assenza che immagina una presenza, e come un pensiero che deve ancora essere pensato e lì in attesa. Queste isole leggendarie o collocate in un posto sbagliato sono state descritte in tutti mari del mondo. Grottesca è la storia dell’isola di Onaneuse scoperta dal capitano Hunter a circa 300 miglia a nord-ovest delle Figi, i cui abitanti avevano il mignolo della mano sinistra amputato alla seconda falange, oltre ad avere la pelle delle guance tatuata con strani disegni. Ricercata da schiere di antropologi ma mai trovata. Nel 2014 (Lettura, Corriere della Sera, 27 luglio 2014) viene dedicato un libro a “Stella” isola fantastica, geneticamente modificata, in cui la vita è esclusivamente dedicata al piacere privo di desiderio.
La necessità di fantasticare l’esistenza di un isola risponde al desiderio di difendersi dalla paura del vuoto. Immaginare nel nulla la presenza di una terra, disegnare un isola nell’infinità del mare svolge la stessa funzione che lo Zero ha nel calcolo matematico, necessario per poter sviluppare il pensiero matematico. Levi Strauss parla di indicatore fluttuante, per indicare l’idea che in tutte le società è necessario formulare il concetto di assenza, diremmo noi del non ancora pensabile.
L’isola è un emergere del pensiero, è un affioramento dell’Io. E’ stato scritto che ogni cosa emergente deve prendere all’inizio la forma di un isola. Così che l’isola è archetipo della terra (J.Hamilton-Paterson)
Proviamo ora a spiegare il perché del titolo ottava isola, e perché lo abbiamo scelto per festeggiare i 40 anni del Centro Studi.
Il Centro Studi Eoliano si trova a Lipari in Via Maurolico 15, ed ha come logo, il profilo stilizzato del castello. Si accede attraverso una porta, salendo alcuni gradini. Sarebbe un errore pensare che il Centro Studi si trovi solo lì, nel giardino e nelle stanze, mentre è giusto chiedersi dove questo Centro abbia inizio e fine.
Il Centro Studi è l’ottava isola, una isola fantastica ma reale, senza confini, compare e scompare, è errante, non solo tra le altre isole o all’interno di esse, ma si sposta ovunque. I suoi grandi capitani sono i due Nini: Nino Saltalamacchia e Nino Paino che riescono sempre a farci andare oltre i confini reali del Centro. Questa isola fantastica ci porta nella mediumnità del sapere, permette di incontrare culture diverse e di farci capire di più della nostra appartenenza all’isola. Frequentare il Centro Studi arricchisce la nostra isolanità.
L’ottava isola è composta da molte cose: persone, incontri, relazioni, oggetti, libri, notizie, mostre, luoghi, immagini, suoni, sapori, odori, memorie, sogni, ma soprattutto da molteplici “frammenti vivi di cultura”, legati assieme dalla condivisione dell’esperienza della libertà e dall’amore del conoscere. Al contrario di quelle isole reali e non fantastiche, che possiamo chiamare “materiali”, formate da frammenti morti di plastica, che rappresentano il prodotto della non cultura e non sono capaci di generare creatività e annichiliscono il pensiero.
Un ricordo prima di concludere. Mio padre, il Generale Pino Siracusano, grande sostenitore del Centro, riceveva regolarmente le pubblicazioni del Centro Studi, assieme alla scheda colorata di iscrizione. Per Lui l’arrivo del plico da Lipari, nelle varie parti d’Italia dove vivevamo, riaffermava un legame profondo con la creatività dell’isola e costituiva il segnale di una vitalità isolana ma contemporaneamente era uno stimolo per nuovi pensieri e riflessioni.
Sfogliare i libri dei viaggiatori, da Dumas a Maupassant, sui confinati, su Lipari al tempo degli Arabi, sulle emigrazioni, sugli argomenti di attualità politica, sul cinema, sulla storia, sui luoghi delle diverse isole, permetteva, appunto, di andare oltre il confine. Alcune delle storie raccontate nei libri si intrecciavano con quanto accedeva nella vita fuori da Lipari, costituendo così un ulteriore spinta a pensare fuori dai confini.
Ricordo ancora che mio padre e mia madre tenevano molto, quando erano a Lipari, a partecipare agli incontri del Centro, che però si svolgevano alle ore 19, e questo “obbligava” ad un ritorno anticipato dall’amato mare, cosa non sempre gradita a noi figli e nipoti. Piccolo ma costante problema familiare, perché ancora oggi si ripropone con continuità.
L’eterno conflitto tra le generazioni, tra il piacere e lo sforzo di conoscere, si può ricomporre nell’ottava isola fantastica, dove è possibile incontrare sensazioni, emozioni e ricordi, capaci di far battere il cuore-isola.
Alberto Siracusano
Professore Ordinario di Psichiatria-Università Tor Vergata Roma
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